Lucera Barocca 2008

Il Club Unesco Federico II di Lucera, in collaborazione con la Diocesi di Lucera Troia (Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici – Museo Diocesano di Lucera), il Distretto culturale Daunia Vetus, l’Associazione Terzo Millennio, la Soprintendenza Archivistica per la Puglia e il Centro Ricerche storia religiosa in Puglia ha organizzato un ciclo di incontri di storia ed arte in Capitanata, dal titolo LUCERA BAROCCA.
Gli incontri avranno luogo ogni venerdì di giugno presso l’Auditorium del Seminario Vescovile di Lucera (Via Blanch n. 11) con inizio alle ore 18.30).

Il programma prevede i seguenti incontri:
Venerdì 6 giugno 2008
Edilizia e arte religiosa a Lucera nel ‘700
Introduzione:
Prof.ssa Dora Donofrio Del Vecchio
Vicepresidente del Centro Ricerche
di Storia Religiosa in Puglia
Relazione:
Dott.ssa Maria Carolina Nardella
Soprintendente Archivistico per la Puglia

Venerdì 13 giugno 2008
La Cattedrale
Introduzione:
Dott. Massimiliano Monaco
Vicepresidente del Club Unesco di Lucera
Socio del Centro Ricerche di Storia Religiosa in Puglia
Relazione:
Prof. Christian de Letteriis
Storico dell’Arte

Venerdì 20 giugno 2008
La chiesa del Carmine
Introduzione:
Dott. Massimiliano Monaco
Relazione:
Prof. Christian de Letteriis
Storico dell’Arte

Venerdì 27 giugno 2008
La chiesa di San Domenico e il suo oratorio confraternale
Relazione:
Prof.ssa Mimma Pasculli Ferrara
Docente di Storia dell’Arte all’Università di Bari
Presidente del Centro Ricerche di Storia Religiosa in Puglia
Conclusioni:
Prof.ssa Dora Donofrio Del Vecchio

Le ricostruzioni grafiche sono curate dal grafico Luca Malvizzi.

Il Barocco
Barocco è il termine utilizzato per indicare un movimento culturale costituito dalla letteratura, dalla filosofia, dall’arte e dalla musica che caratterizzò i secoli XVII e XVIII. Per estensione, col nome «barocco» si indica il gusto legato alle manifestazioni artistiche di questo periodo, in particolare quelle più estrose. In architettura il lessico è sempre quello classico, ma viene declinato in un’infinità di modi, da quello più aderente ai canoni classici a quello più fantasioso e spregiudicato. In pittura abbiamo lo sviluppo di generi quali il ritratto, la natura morta, la pittura di religione e di storia.
Sulla derivazione del termine ci sono due ipotesi: il termine deriverebbe per alcuni da barrueco, antica parola portoghese (barroco in spagnolo), usata per definire una perla non coltivata, non simmetrica, accostata per questo alla particolarità di questo stile poco lineare; per altri il vocabolo deriverebbe dal modo in cui i filosofi chiamavano nel loro ambiente una complessa figura del sillogismo aristotelico, il ba-ro-co. Col significato di stravagante, bizzarro, il termine baroque è attestato in Francia a partire dal XVII secolo.
Favorì la diffusione di questo linguaggio la Controriforma cattolica. Accanto a sovrani, principi, istituzioni civili, alta borghesia, il maggiore committente di architettura e pittura barocca fu infatti la Chiesa, soprattutto quella cattolica, ma anche alcune Chiese riformate, che compresero il messaggio che quell’arte poteva dare: stupire per educare.

Edilizia e arte religiosa a Lucera
La grande fioritura artistica, edilizia ed economica che si registra in Lucera durante il secolo XVIII assume caratteri di vasto interesse e respiro culturale. L’impulso edilizio, già segnato dalla crescita economica venutasi a creare con le scelte riformatrici intraprese nel regno di Napoli è in gran parte dovuto anche al verificarsi del forte movimento tellurico del 20 marzo 1731. La ricostruzione edilizia, immediata e tumultuosa, coinvolge tutte le classi sociali e segna l’inizio di una serie di programmi orientati alla riqualificazione urbana. Per quanto ricca di maestranze qualificate (del Buono, Lepore, Pasqua), gli incarichi più prestigiosi sono affidati a professionisti ed artisti esterni: dagli ingegneri ed architetti di Tullio, Stendardo, Pinto, Astarita, agli artisti Solimena, Colombo, Conca, De Mura, De Mita, De Nigris, Cennatiempo e Costantini, ai marmorari Raguzzino, Gentile, Salemme, Lamberti, Cimafonte e Palmieri.
In ambito religioso l’analisi del folto apparato di arredi marmorei presenti nei suoi luoghi di culto, fa’ di Lucera la città della Capitanata che detiene in questo periodo il privilegio di ospitare quasi tutte le testimonianze delle principali fasi evolutive della decorazione marmorea di matrice napoletana. Nessun edificio sacro si sottrae a questa ventata di rinnovamento. Committenti dei più importanti interventi architettonici sono ricca borghesia e confraternite di laici da un lato, alto clero e ordini religiosi dall’altro. All’ampio scenario dell’edilizia privata fa eco, specie durante la seconda metà del ‘700, un consistente programma di edilizia pubblica, soprattutto ad opera dell’Università e delle istituzioni governative.
La trasformazione barocca degli edifici sacri, quasi tutti di origine gotico-angioina, innesca una vera e propria “febbre” da rinnovamento. Nel vastissimo piano di rievangelizzazione scompaiono i vecchi altari lignei dorati, sostituiti da nuove e più raffinate incorniciature in marmi policromi, mentre le vecchie coperture a capriate vengono nascoste da controsoffittature lignee a tavolato semplice. Accompagna e integra la trasformazione degli interni una profluvie di arredi, suppellettili in argento, tessuti e ricami, gran parte dei quali sono tuttora in opera.
Al rinnovamento in chiave barocca di preesistenti edifici danno impulso tutti i vescovi del ‘700 (Liguori, Arcamone, Ferreri, Rugilo, Marculli, Foschi e Freda), i Padri superiori dei principali Ordini regolari (Fasani e Baldassarre dei minori conventuali, Falieri dei domenicani, de Castro e Pizziniaco dei celestini, Rotelli dei carmelitani), ed alcuni arcipreti (il parroco di S. Giacomo Ciaburri).
Altro elemento distintivo nell’edilizia di questo secolo è rappresentato dall’assalto ai ruderi, del diruto castello cittadino, a spese del quale si realizza gran parte dello sviluppo costruttivo, tanto civile quanto ecclesiastico, e ciò quasi per una diffusa mentalità che induce a vedere in quel maniero solo una cava di pietre o di altro materiale di fabbrica, di cui fosse lecito e conveniente servirsi.
Nella chiesa di S. Francesco è il Padre Maestro S. Francesco Antonio Fasani a promuovere ed eseguire un’intelligente e fine riduzione alla moderna (soffitto, mattonata, organo, coro, altari, statue, pale, arredi di sagrestia). Chiamando a raccolta tutti i benefattori della chiesa, dalla Confraternita della S. Croce alle nobili famiglie detentrici del diritto di patronato sui preesistenti altari (Nocelli, de Nicastri, Lombardo, Navarra e Scoppa), il Frate impiega nei lavori oltre 4.000 ducati. Completamente restaurata e ammodernata, la chiesa venne riconsacrata il 26 aprile 1739 dal vescovo di Bovino Antonio Lucci. Soffitto a cassettoni, coro, organo, altare maggiore e tre degli altari laterali saranno rimossi nel corso dei restauri degli anni 1941-43. Analoghe trasformazioni avvengono nelle altre chiese dell’Ordine francescano. nella chiesa del SS. Salvatore la riparazione degli altari (1706, 1722 e 1725) ad opera di artisti locali; nella chiesa dei Frati minori cappuccini l’impianto di un discreto altare maggiore in marmi policromi; nella chiesa della Pietà l’impianto di un nuovo coro ligneo, di pregevoli confessionali, il rinnovo della tettoia e del presbiterio, della cantoria lignea con organo e l’impianto di 7 altari in pietra, legno e stucco con statue (1767-1778).
Dopo la peste del 1720 Vincenzo Lombardi provvede a restaurare ed arricchire la cappella di S. Rocco, sorta extra moenia alla metà del secolo precedente.
Alla metà del ‘700 giunge a Lucera una Congregazione di missionari redentoristi, diretta dal Servo di Dio P. Maestro Vincenzo Mannarino, discepolo di S. Alfonso de’ Liguori. Dediti alla predicazione e all’insegnamento, ai sacerdoti Mannarini gli amministratori della città concedono l’ampio palazzo del Barone Falcone, rimesso a nuovo dall’Università con l’obbligo, a carico della Congregazione, di aprirvi una scuola di grammatica e di umanità. Nella piccola chiesa i missionari fanno realizzare da artisti di scuola napoletana tre tele.
Agli stessi anni risale la costruzione della cappella dedicata alla Vergine Immacolata, di fronte al palazzo del fondatore, il marchese De Nicastri.
Sempre alla metà del secolo sono radicalmente trasformati l’originaria cappella trecentesca di S. Bartolomeo e l’annesso monastero dei Padri Celestini che, insieme a quello dei Carmelitani e delle Celestine, è fra gli interventi edilizi più imponenti di tutto il ‘700 lucerino. I lavori sono affidati al muratore Paolo del Buono, il quale utilizza anche materiale del castello. Arricchiscono la nuova chiesa sette altari (sei laterali e uno, pregevolissimo, al centro del coro ligneo) e altrettante pale di scuola solimenesca e demuriana. A questa fase (1725-1746), segue l’ampliamento degli spazi a disposizione della comunità celestina, con la permuta di un suolo al Monte Albano in cambio di alcuni terreni siti in località Cappelluccia. Quivi, dopo il 1764, il cavaliere Vincenzo Giordano-Lanza, riedificava la cappella di S. Maria della Libera, che nel 1781 dotava di beni patrimoniali.
Nella chiesa di S. Maria delle Grazie (detta delle Cammerelle) i Frati ospedalieri di S. Giovanni di Dio realizzano una nuova cappella (1721) e Pasquale del Vecchio riduce a miglior forma l’altare maggiore (1767).
Interventi di trasformazione interessano anche le chiese parrocchiali di S. Giovanni Battista e di S. Giacomo Maggiore Apostolo. Il primo edificio si arricchisce di una pregevole facciata a cornici delimitata da lesene, organo e statue. Nel 1775, invece, il parroco S. Giacomo da’ in appalto alle «maestranze abruzzesi» l’abbattimento della vecchia chiesa pericolante e da’ inizio alla costruzione di una nuova chiesa.
Per un investimento di 7.000 ducati, fra il 1743 e il 1754 è edificato il nuovo monastero di S. Caterina, realizzato con mattoni locali e con pietre del castello svevo-angioino, mentre l’attigua chiesa si arricchisce di tre altari, una pala, quattro olii su tela e una scultura lignea.
Nel 1725 il vescovo Liguori intraprende la costruzione del nuovo episcopio, avanzando la fabbrica oltre il perimetro della vecchia sede vescovile. Sospesi, i lavori riprendono con l’arrivo di mons. Foschi, che nel 1760 incarica del progetto l’ing. Giuseppe Astarita. Il Vescovo faceva anche richiesta di acquistare «il materiale di nessun riconosciuto valore» del castello cittadino, proposito osteggiato da un’appassionata protesta degli amministratori dell’Università. I lavori durarono fino al 1775, ma la costruzione veniva portata a termine solo nel 1804.
Il secolo XVIII si chiude con l’imponente intervento di ricostruzione e di ampliamento del trecentesco convento di S. Francesco, pericolante in molte sue parti. Architetto dei lavori fu il mastro muratore Crescenzo Lepore, incaricato anche di costruire una nuova facciata in mattoni, cinque portoni in pietra, magazzini interrati ed altri appartamenti: 8.700 i ducati investiti tra gli anni 1792-1798.

La Cattedrale
Notevoli, nel corso del Settecento, sono i lavori di restauro apportati alla Cattedrale angioina, che in quest’epoca conta ben 19 altari (15 nelle navate interne e 4 in altrettante cappelle esterne). Tra il 1733 e il 1748 il vescovo Marculli fa’ ampliare e rifare la decorazione interna della seicentesca cappella dell’Annunziata, che era sul lato sinistro della facciata della chiesa episcopale, e nel 1747 provvede alla riparazione delle fondamenta del Duomo. Nel 1755, per il rifacimento del pavimento del transetto, e per dare maggiore spazio al presbiterio, il pergamo con l’altare e la sepoltura gentilizia della famiglia Scassa viene rimosso e collocato nella navata principale, sotto la corda del primo arco, dove tutt’ora si ammira. Qualche anno dopo il vescovo Foschi da’ inizio ai lavori di imbarocchimento della Cattedrale, con l’inserimento, nel 1763, di una balaustrata in marmi policromi (oggi in parte nella chiesa di S. Maria della Spiga) e un migliore assetto alle diverse tombe disposte sul pavimento. Nel 1761 vano risulta il suo tentativo di adibire l’oratorio della Congregazione di S. Maria della Misericordia a cappella di S. Maria Patrona. Con le cospicue rendite della Mensa vescovile, il suo successore, Giuseppe Rugilo, da’ inizio, invece, ad una renovatio globale della navata crociera attraverso un piano decorativo, antitetico allo stile del monumento, che porta alla realizzazione di nuovi pilastri, cornicioni, soffitti e finestre. Attraverso queste operazioni, pur rispettando l’involucro strutturale, il vescovo faceva perdere alla sua chiesa quasi integralmente il primitivo carattere, trasformando lo spazio del transetto in un ambiente non più gotico ma classicheggiante.
Numerosi gli altari in pregiati marmi policromi che nel corso del secolo rinnovano anche l’arredo del transetto e delle cappelle esterne della chiesa, tra cui quello di S. Maria della Misericordia, attribuito a Michele Salemme (1772-1787), con tela raffigurante la Madonna della Misericordia e, pochi anni dopo (1790), l’imponente altare di S. Maria Patrona, capolavoro dei marmorari napoletani Marino e Domenico Palmieri, con due angeli capialtare da attribuire ad Angelo Viva. Nell’abside della stessa cattedrale, nel 1799 era infine commissionato a Nicodemo De Simone da Agnone un grande coro ligneo di noce.

La chiesa del Carmine
Nel 1750 i Padri Carmelitani di Lucera decidono di abbandonare il vecchio convento sorto extra moenia sui ruderi di un precedente complesso basiliano alla fine del 1400, e di edificare una nuova chiesa con monastero; sicché con l’intervento del vescovo Marculli e il contributo della distinta famiglia Del Vecchio (che già possedeva un altare nella prima chiesa carmelitana), l’Università accoglieva la domanda dei Padri e cedeva loro un suolo, in parrocchia Cattedrale, occupato solo da casupole. Dopo le autorizzazioni ecclesiastiche (1750) e civili (1754), i religiosi iniziano ad acquistare e a permutare gli immobili vicini. In cambio del vecchio convento, ceduto alla Regia Corte per uso di caserma di cavalleria, i religiosi ottenevano il permesso di prelevare il materiale di fabbrica ricavabile dall’abbattimento del castello cittadino. La progettazione e l’esecuzione dei lavori era affidata nel 1753 all’architetto abruzzese Ludovico di Tullio.
Ultimata la costruzione della chiesa (nel 1758 la fabbrica era a buon punto, anche se non ancora completata, essendo stati spesi, in soli quattro anni, circa 12.000 ducati), l’intervento delle famiglie Lombardo, Scassa, del Vecchio, Pagano (1759) e, successivamente, De Grazia (1785) consentiva di impreziosire il tempio con quattro monumentali altari, di cui due marmorei di gran pregio. Il primo, a sinistra dell’ingresso, con pala di S. Teresa d’Avila del pittore Ermenegildo Costantini e sontuosi marmi alla parete, era innalzato dal marmoraro Michele Salemme su commissione dalla famiglia Lombardo nel 1759. Il secondo, dedicato alla Vergine Addolorata, capolavoro dello stesso Salemme, era realizzato sempre nel 1759 su commissione del magistrato lucerino Onofrio Scassa nella seconda cappella di sinistra. Pala d’altare era una tela di notevole interesse artistico, dipinta nello stesso anno da Francesco De Mura e raffigurante l’Addolorata sorretta da due Angeli. A cura della Municipalità, nel 1761 la cappella era completata con il mausoleo del committente dell’opera, il cui mezzobusto in marmo è da attribuire al maestro Gaetano Salomone. Nel 1785 era realizzato il pregevole altare maggiore, dedicato alla Madonna del Carmelo, ricchissimo di marmi e con due teste di putti scolpiti ai lati del tabernacolo, da assegnare alla bottega del marmoraro napoletano Luigi Cimafonte.

La chiesa di San Domenico e il suo oratorio confraternale
Nella chiesa di San Domenico, «fatiscente per vetustà», il restauro strutturale (metodologicamente analogo a quello dell’omonimo edificio di Manfredonia) è realizzato lungo tutto l’arco del ‘700 e ultimato dal priore fr. Nicola Domenico Falieri a spese della comunità religiosa, degli associati alla Confraternita del SS. Rosario e del Popolo di Lucera. Dopo il rifacimento del prospetto e del portale litico (1700), la chiesa riceve una nuova fisionomia: grandi arconi di tufo carpano sono addossati alle pareti, dove sono collocati una serie di altari in pregiati marmi ad intarsi. Due di questi, l’altare maggiore (Famiglia Corigliano), al centro dell’abside, e l’altare della B.V. del Rosario (di patronato dell’omonima Confraternita) sono realizzati tra il 1709 e il 1727 dai marmorari Giovanni e Filippo Raguzzino; i rimanenti sette – di S. Pietro Martire (Famiglia Quaranta) della Natività (Villani-Corrado), di S. Vincenzo Ferreri, del B. Agostino Casotti (D’Auria), di S. Domenico (Lignella-Ciaburri), di S. Rosa da Lima (Granata) e di S. Tommaso d’Aquino (Lombardi) – dal marmoraro Nicola Lamberti tra il 1765 e il 1770. Contemporaneamente aveva luogo il rifacimento delle finestre e della sfarzosa scenografia interna, opera di decoratori a stucco di scuola lombarda, la realizzazione della cantoria ad andamento curvilineo, dell’organo, dei confessionali, di una statua di S. Giuseppe col Bambino (bottega di Giacomo Colombo, 1718) e l’inserimento di otto pale d’altare e cinque oli su tela, dovuti a Girolamo Cennatiempo, Michele De Nigris, Vincenzo Lambiasi, Francesco De Mura e allievi, Vincenzo De Mita, Sebastiano Conca.
Comunicante con la chiesa di S. Domenico è l’oratorio dell’Arciconfraternita del SS. Rosario, costituito da due ambienti, la cappella di S. Giuseppe (con accesso interno a lato dell’altare di S. Rosa), ad un’unica navata suddivisa in tre cellule spaziali coperte a crociera, e la cappella del SS. Rosario (attigua all’entrata principale della chiesa). Costruita dopo il 1490, nel 1699 la cappella di S. Giuseppe fu concessa alla Confraternita ad uso di oratorio in sostituzione di un altro ambiente già concesso nel 1654, ma andato distrutto per alcuni lavori. In essa è presente una pregevole cantoria curvilinea in legno (sec. XVI) con medaglione centrale raffigurante il Cristo flagellato ed un altare maggiore in finto marmo, realizzato durante la fase di trasformazione barocca dell’oratorio.
Sempre di proprietà dell’Arciconfraternita è l’attigua cappella del SS. Rosario (il cosiddetto Pantheon), singolare struttura a cupola realizzata dai mastri muratori Michele e Francesco Pasqua di Lucera tra il 1793 (anno di stipula del contratto di realizzazione di una cappella mortuaria per i confratelli) e il 1803, per essere adibita a luogo di sepoltura (strada dietro al cimitero era denominata fino al 1813 la via ad essa retrostante). La cappella è a pianta centrale di forma quadrata e presenta negli angoli interni quattro grossi pilastri su cui si innalzano altrettanti arconi. Sulla base quadrata della pianta si imposta un tamburo ottagonale su cui poggia la copertura a “tazza”.

testi a cura di Massimiliano Monaco

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