LE TERME ROMANE

A Lucera, che fu dapprima Colonia di diritto latino e poi Colonia imperiale di Roma, sono ancora visibili i resti di grandi impianti termali di età romana. Di due di questi si ha sicura memoria. Nel 1872, durante lo scavo di una fogna nei pressi della Porta di San Severo, in corrispondenza di un grosso pezzo di fabrica antica (conosciuto come Ciavurro di San Matteo, poiché inglobato in una parete della trecentesca chiesa parrocchiale di S. Matteo Apostolo) veniva individuato per la prima volta un impianto termale di età imperiale da allora noto come “Terme di Piazza San Matteo”.
Furono scoperte grandi vasche per pubblici bagni (le Terme romane), resti di murature, pavimenti a mosaico, condutture e un’iscrizione con dedica al Divo Commodo, oltre a terracotte e altri oggetti. Era inoltre rinvenuta una statua di marmo bianco rappresentante una Venere (ora al Museo civico), copia di originale prassitelico, assegnata all’epoca imperiale (I sec.), che i romani solevano porre nel vestibolo delle terme.
Nel 1884, in località Piano dei Puledri, venivano scoperte tracce di vasche, di stabilimenti termali e, a circa 17 metri di profondità, un serbatoio che faceva capo a una grande sorgente d’acqua alla quale erano congiunte ampie condutture dirette a valle verso la città.
Pochi anni dopo, nel 1899, in prossimità della centralissima piazza del Duomo, e precisamente nell’attuale piazza Nocelli, i lavori per la costruzione di un serbatoio di acqua potabile del Serino, portavano alla luce un esteso pavimento a mosaico policromo del I secolo (oggi nel salone della Venere del Museo civico), mirabile per la varietà delle figure, la vivacità dei colori, la ricchezza degli ornati e la molteplicità delle figure (delfini, tritoni, tori, cavalli marini), ritenuto parte di una struttura termale di età romana.
Sempre nell’area delle Terme di San Matteo, già interessata dai rinvenimenti del 1872, accanto ad alcune strutture in laterizio (rappresentati da sei ambienti di diversa superficie) con pavimenti in mosaico, marmo e mattoni, una campagna di scavi diretta nel 1922 dal primo Soprintendente agli Scavi e ai Musei archeologici di Puglia Quintino Quagliati riportava alla luce una colossale scultura di marmo in trono (m. 1,80 x 1,30) in parte mutilata e dal volto sfigurato per damnatio memoriae, attribuita all’imperatore Commodo, che fu trasportata e ricostruita sulla scalinata di accesso al Museo civico Fiorelli.
Gli scavi del 1922 restarono scoperti e recintati, in previsione di ulteriori ricognizioni; ma per l’incalzare degli eventi e per il pubblico disinteresse, tolta la ringhiera metallica protettiva, che fu donata alla Patria, gli scavi furono richiusi. Oggi il complesso termale, riportato alla luce solo in parte nel 1983-1985, conserva solo labili accenni della sua evidenza e monumentalità e rappresenta un punto fermo per la topografia della città romana: non di certo dal punto di vista della valorizzazione, giacché esso giace in condizioni di degrado e di illegibilità della struttura antica, delimitata solo da una esile recinzione e rimane in attesa di interventi di tutela e di valorizzazione.

(testo di Massimiliano Monaco)

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